Il processo sull’ex Ilva, la più grande acciaieria d’Europa operante nella città di Taranto, è tutto da rifare. Passa a Potenza e riparte da zero il processo “Ambiente svenduto” che è stato condotto contro l’imponente polo siderurgico che attualmente è commissariato e vale, secondo le ultime stime, un miliardo e mezzo di euro. La notizia, clamorosa, è che la sentenza di primo grado della Corte di Assise di Taranto è stata annullata dalla Corte d’Appello. Si tratta di uno dei più grandi processi di interesse nazionale degli ultimi decenni. E ora si deve ricominciare da capo. Perché i faldoni si trasferiranno in Basilicata? Perché è stata accolta la richiesta della difesa della famiglia Riva secondo la quale i giudici di primo grado, residenti a Taranto, non avrebbero avuto la serenità necessaria per pronunciarsi e sarebbero stati a loro volta parti offese.
Il Processo Ilva: Un Caso Monstruoso
Quello sull’ex Ilva è stato un procedimento monstre durato cinque anni con 44 imputati e 3 enti sotto processo, 33 i capi d’imputazione, oltre mille parti civili, 332 le udienze celebrate e oltre 200 le ordinanze emesse dal tribunale. La sentenza fu pronunciata dopo undici giorni di camera di consiglio dalla Prima Corte di Assise di Taranto, presieduta da Stefania D’Errico, con Giudice estensore Fulvia Misserini, e sei giudici popolari. Mentre veniva letta, fuori, c’erano i manifestanti in lacrime, i membri delle varie associazioni di tipo sanitario e ambientale che hanno condotto per anni campagne martellanti sul diritto alla salute a Taranto. Il processo si concluse il 31 maggio 2021, le motivazioni (3.700 pagine) furono depositate il 28 novembre 2022. La sentenza accolse la tesi della procura che sosteneva che l’Ilva è stata, e ha rappresentato, un disastro ambientale, da qui il titolo della maxi inchiesta “Ambiente svenduto”.
Le Condanne e gli Imputati nel Processo Ilva
Nel processo vennero condannate 26 persone tra cui i vertici dell’ex Ilva, in particolare i due membri della famiglia Riva, Fabio e Nicola, figli dell’ex patron Emilio, all’epoca scomparso. Furono condannati a 22 e 20 anni. Condanne anche agli ex direttori di stabilimento, manager e politici. 270 anni di carcere, in tutto e la confisca degli impianti dell’area a caldo (che non sono più in mano ai Riva ma a dei commissari dopo la stagione targata Arcelor Mittal). Fu un verdetto particolarmente pesante. «I Riva e i loro sodali hanno posto in essere modalità gestionali illegali anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995», scrissero i giudici motivando la sentenza annullata oggi dalla Corte d’Appello. I Riva, dunque, furono condannati perché secondo i giudici, la loro gestione dell’Ilva tra il 1995 e il 2012 provocò un inquinamento «devastante per la salute e per l’ambiente». Concorso in associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Queste le durissime accuse che hanno portato alle condanne che ora, però, vengono azzerate.
La Sentenza del Processo Ilva: Le Condanne ai Manager e agli Ex Politici
Furono inflitti 21 anni e 6 mesi all’ex responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà, 21 anni all’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, pene comprese tra i 18 anni e mezzo e il 17 anni e 6 mesi per cinque ex fiduciari aziendali. Fu condannato a tre anni e mezzo anche l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, a cui fu contestata la concussione aggravata. Per i magistrati il governatore fece pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato (condannato a due anni per favoreggiamento), per ammorbidire la posizione dell’Agenzia sulle emissioni nocive prodotte dall’Ilva. Tre anni all’ex presidente della Provincia, Gianni Florido e all’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva. Fu assolto, invece, l’ex sindaco di Taranto Ippazio Stefàno. Anche l’attuale leader di Sinistra Italiana e di Alleanza Verdi e Sinistra era tra gli imputati. Nicola Fratoianni, all’epoca era assessore regionale ma non fu condannnato per prescrizione del reato di favoreggiamento.
Il procedimento giudiziario attorno all’ex Ilva ha destato grande interesse mediatico e pubblico, poiché ha evidenziato la grave situazione ambientale e sanitaria che ha coinvolto la città di Taranto per anni. La decisione della Corte d’Appello di annullare la sentenza di primo grado e trasferire il processo a Potenza ha sollevato molte polemiche e interrogativi sulla correttezza e l’imparzialità del sistema giudiziario italiano.
L’Ilva, una volta fiore all’occhiello dell’industria siderurgica italiana, è stata al centro di numerose controversie e scandali legati all’inquinamento e alla mancata sicurezza sul luogo di lavoro. Le condanne inflitte ai vertici dell’azienda e a diversi politici locali hanno evidenziato la grave responsabilità di chi, per anni, ha gestito l’Ilva senza tener conto delle norme ambientali e dei rischi per la salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto.
La decisione di azzerare le condanne e ricominciare il processo da zero ha generato un clima di incertezza e preoccupazione tra i cittadini di Taranto e gli attivisti ambientali che da anni lottano per la chiusura dell’Ilva e la bonifica dell’area. La giustizia, in questo caso, sembra essere stata messa in discussione e la fiducia nel sistema giudiziario è stata fortemente compromessa.
La lotta per la giustizia ambientale e la tutela della salute pubblica a Taranto continua, nonostante gli ostacoli e le complicazioni del sistema giudiziario italiano. È fondamentale che le autorità competenti agiscano con tempestività e determinazione per garantire che situazioni come quella dell’ex Ilva non si verifichino mai più e che chi ha commesso gravi reati ambientali paghi per le proprie azioni.
In conclusione, il processo sull’ex Ilva rappresenta un importante caso di giustizia ambientale e responsabilità civile che ha evidenziato la necessità di una maggiore tutela dell’ambiente e della salute pubblica. È fondamentale che le istituzioni e le autorità competenti agiscano con fermezza e trasparenza per garantire che situazioni simili non si verifichino in futuro e che chi commette gravi crimini ambientali sia punito adeguatamente.