Forza Italia apre ai dem per la presidenza: focus su Agnes
Non una fumata nera. Una fumata nerissima. È quella che s’è alzata da Palazzo Chigi alla fine del conclave dei quattro leader, Meloni, Tajani, Salvini, Lupi, più Giorgetti. Troppa spinosa e divisiva la questione: solo la premier ha fretta di cambiare la governance di Viale Mazzini (non ne fa però, affatto, la sua primissima priorità), mentre la Lega non è in vena di accelerazioni né ha voglia di consegnare il servizio pubblico a FdI, cioè all’uomo forte meloniano: Giampaolo Rossi, e Forza Italia o ottiene Simona Agnes presidente o è disposta ad andare avanti con il Cda che c’è in modalità prorogatio su prorogatio.
Per di più, grava sul vertice il caso Sangiuliano, quello che fa dire in casa FdI prima del summit dei leader: «Meglio evitare d’infilarsi in un’altra questione ad altissimo rischio di polemiche da parte dei nostri nemici, e la Rai è perfetta per la macchina mediatico-propagandistica della sinistra per aggredirci al collo».
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Rai, la mossa di Forza Italia
Dunque, poca Rai che pure – secondo le anticipazioni di alcuni dei partecipanti al pranzo – doveva essere il piatto forte. «Non ne abbiamo parlato proprio», assicura Tajani. Ma il non volerne parlare è un segno più eloquente di un milione di parole. Non parlarne per non dare altri pretesti di attacchi all’opposizione; non parlarne perché «il momento è già molto complicato così» (come riconoscono i partecipanti del pranzo a Chigi); non parlarne perché meglio evitare problemi con l’Europa attentissima al tema dell’informazione (e la bonaccia con l’Europa significa meno intralci per il cammino di Fitto); ed è inutile parlarne se Forza Italia è indisponibile a farlo finché non si sblocca l’elezione di Agnes che non dipende comunque dai partner di FdI e Lega, che sono favorevolissimi, e neppure dal non riconoscimento da parte delle opposizioni delle qualità professionali della prescelta in quota forzista (non hanno nulla da eccepire sulla persona) ma da un piccolo grande particolare di tipo politicissimo. Ovvero che da sinistra non si è disposti a dare quei voti in più per l’elezione del presidente, necessari secondo la legge per cui i due terzi dei componenti della commissione di Vigilanza devono dire di sì.
IL TEMPO
Entrando al vertice, uno dei leader azzarda: «Magari, se prendiamo altro tempo sulla Rai, i voti aggiuntivi per Agnes potrà darceli Conte, visto che con il Pd già scricchiola la sua alleanza». Ma Conte ha solo detto, l’altra sera, che voterebbe un presidente di garanzia, ma andrebbe trovato e il nome giusto non è quello che c’è. Stallo insomma, che significa che con ogni probabilità il voto parlamentare del 12 settembre, per scegliere i quattro membri del Cda di nomina parlamentare e Casarin per la Lega e Di Majo per M5S sono i più probabili (in più c’è Davide Di Pietro in quota dipendenti e i due indicati dal Mef), verrà rinviato ancora. Forse al 26 settembre, per poi venire magari posticipato ancora. Come se ne uscirà? Le opposizioni sono tutte contente che hanno infilato nella palude la maggioranza sulla Rai. Le prove, da parte di emissari del centrodestra, di convincere Renzi a dare una mano (cioè a dare almeno due dei tre voti mancanti per eleggere Agnes) non hanno sortito alcun effetto. Anzi, Italia Viva in modalità campo largo è la più dura in Vigilanza (dove c’è la Boschi).
VIALE MAZZINI E UE
Dentro ogni crisi, però, c’è molto movimento. E la mossa la fa Forza Italia: apre alla riforma della Rai secondo il Freedom Act Ue, per prendere tempo su Agnes, per rispondere da partito europeista alle richieste europee (dobbiamo fare entro un anno la legge di riforma del sistema televisivo, sennò paghiamo una multa per infrazione), per non dare carta bianca alla destra-destra e per smontare la legge Renzi del 2016.
Spiega Gasparri: «Non ci sono ancora schiarite sul nuovo Cda. Alcuni dicono che il tema vero, più quello delle nomine, è quello della necessità di una nuova legge, alla luce dei pronunciamenti europei. E io dico che, di fronte a un mondo della comunicazione in radicale cambiamento, tra new media e tutto il resto, noi simo prontissimi a cambiare la legge che c’è». Guarda caso, è un intendimento che coincide con quelle delle opposizioni, che nel documento unitario del 6 agosto hanno chiesto: congeliamo la vicenda Rai e facciamo tutti insieme la riforma del sistema in linea con i dettami Ue (ovvero togliere al governo il potere sulla Rai). Sembra esserci dunque una convergenza tra una parte della maggioranza (Gasparri insiste comunque nel dire: «Chi ha alterato il rapporto tra la politica e la Rai è stata la sinistra, dando tutto il potere al governo e sacrificando ingiustamente il Parlamento») e la minoranza.
Se viene intrapresa la strada bipartisan e molto complessa della riforma, si potrebbe andare – mentre si prepara la nuova legge – a tenere il Cda che c’è o a formare un Cda d’emergenza e a tempo, rispetto al quale le opposizioni – dopo aver ottenuto la disponibilità a lavorare in direzione Freedom Act Ue – metterebbero minori resistenze, fino al punto di votare un presidente di garanzia che potrebbe essere, perché no, Agnes o anche un altro nome (Sergio dopo Sergio?). Resta il fatto che, al momento, la cosiddetta TeleMeloni – così sprezzantemente chiamata dalle opposizioni ma anche, poco bonariamente, da qualcuno in maggioranza, zona Lega per esempio – stenta a decollare. Forse l’ottobrata romana potrebbe portare qualche gioia, ma non sono tanti a scommetterci.© RIPRODUZIONE RISERVATA