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Pippo Giordano Ex ispettore DIA

Mafie – 23 Settembre 2024

Rita Dalla Chiesa, in un recente programma televisivo, ha usurpato il metodo di noi siciliani, che pur stando zitti riusciamo a fare una conferenza con lo sguardo e mimica facciale. In buona sostanza siamo capaci di pronunciare fiumi di parole col silenzio, ed è quello che ha fatto Rita Dalla Chiesa.

Premetto che ebbi occasione di conoscere personalmente il generale Dalla Chiesa e Giulio Andreotti. Il primo quand’ero alla Mobile di Palermo; il secondo lo scortai diverse volte quand’ero alla Digos. Detto questo, rilevo che la giornalista Costamagna, nell’intervistare Rita Dalla Chiesa e facendo riferimento a passate affermazioni della stessa, chiedeva conferma circa il coinvolgimento di un politico nell’omicidio del padre. E poiché Rita Dalla Chiesa appariva reticente, ovvero non faceva il nome del politico, la giornalista incalzandola le diceva: “Ma se le dico Andreotti?”. Rita Dalla Chiesa rimaneva in silenzio: un silenzio che equivale ad un sì.

Mi spiace dirlo, ma quel roboante silenzio non fa onore a Rita Dalla Chiesa, perché Giulio Andreotti non può difendersi. Io ho sempre rifiutato i teoremi, le mezze parole, le allusioni e i silenzi come quello di specie. Il paradigma dell’intera mia attività investigativa fu sempre improntato alla ricerca di prove che potessero superare il vaglio nei processi.

In quei pochi giorni di permanenza del generale Dalla Chiesa a Palermo, io ero in servizio alla Mobile palermitana e quindi vissi la tragedia di via Isidoro Carini, dove persero la vita il Generale, sua moglie Emanuela Setti Carraro e il mio collega Domenico Russo. Non sono un grande esperto di mafia, ma un’anticchia (poco) conosco la mentalità mafiosa e mi rifiuto di credere, salvo che qualcuno dimostri il contrario, che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sia stato assassinato per fare un favore a qualcuno fuori dal sodalizio criminale.

Occorre riflettere su com’era Palermo all’inizio degli anni 80, dov’era più facile morire che vivere. Totò Riina, ubriaco di potere, ebbe gioco facile a conquistare manu militari l’intero territorio. Ma davvero Rita Dalla Chiesa è convinta che suo padre fu ucciso da Cosa nostra per fare un favore a qualche politico e segnatamente a Giulio Andreotti? E’ un’affermazione grave che dovrebbe essere provata da elementi fattuali.

Giova evidenziare che Dalla Chiesa, ancorché giovane capitano -negli anni 50 – fece servizio proprio a Corleone e quindi suppongo che i corleonesi Liggio, Provenzano e Riina conoscessero già Dalla Chiesa. Eppoi, sin dai primi giorni di Palermo, Dalla Chiesa con atti concreti pose in essere iniziative tendenti a contrastare il monopolio di alcune attività di Cosa nostra.

A mio modesto parere, penso che proprio Totò Riina non apprezzava Dalla Chiesa, e probabilmente ne considerava la presenza a Palermo come un delitto di lesa maestà. Immagino come “u Curtu” sbavasse ad ogni iniziativa di Dalla Chiesa, per non parlare delle numerose interviste ove egli magnificava la necessità di coinvolgere i giovani per abbattere il muro dell’omertà e la subcultura mafiosa. Ora, affermare seppure col silenzio che Giulio Andreotti potesse essere stato il mandante dell’omicidio di Dalla Chiesa lo trovo ingiusto. Del resto, se si leggono gli atti di intercettazione dei dialoghi in carcere tra Riina e la sua dama di compagnia Lorusso si evince che lo stesso Riina si assume in toto la decisione dell’omicidio di Dalla Chiesa.

Tra l’altro, quando Riina afferma che Dalla Chiesa era pedinato dai suoi uomini, questa circostanza emerse a noi della Mobile solo post mortem del Generale. Non incontrai mai Totò Riina, lo vidi attraverso un monitor quand’era recluso a Pianosa. Purtuttavia, conoscevo benissimo la sua mentalità. Un suo amico d’infanzia di Corleone, non inserito in Cosa nostra, mi illuminò sulla personalità di Totò, che non accettava consigli da nessuno e che nessuno poteva permettersi di contraddire.

No, io penso che il generale Dalla Chiesa fu assassinato sol perché era diventato pericoloso per Cosa nostra e Riina non poteva perdere la faccia coi suoi uomini, proprio quando a Palermo c’era in atto la mattanza per conquistare il potere. La mafia non compie omicidi per il gusto di ammazzare. Con quella telefonata anonima fatta alla Stazione dei carabinieri di Casteldaccia, che annunciava la presenza di un’auto con due uomini ammazzati, specificando “è un regalo per Dalla Chiesa”, Totò Riina già allora aveva probabilmente deciso l’omicidio del Generale.

L’omicidio di Carlo Alberto dalla Chiesa credo sia maturato all’interno del gotha mafioso, su decisione di Riina. Altro che da Giulio Andreotti.