news-14082024-183123

Fratelli d’Italia si ritira dopo due anni e mezzo di sostegno a Kiev, il Pd fa da sponda al “partito della pace”. Ci allontaniamo dai grandi paesi Ue e dagli Usa: non abbiamo alcuna strategia e rinunciamo a essere protagonisti

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è data. Tradotto in termini europei: ha perso le sue tracce, è scomparsa e non si sa bene dove sia finita. Commettere errori nelle scelte non è il peggio che possa accadere. Si possono anche sbagliare i tempi, facendo marcia indietro quando si tratta di rimanere saldi per raccogliere i frutti di ciò che abbiamo scelto in passato. Due anni e mezzo di solidarietà con l’Ucraina, per poi ritirarsi quando, per la prima volta, nella sua disperata resistenza Kiev inizia a vedere una luce.

Siamo così abituati alle astuzie della serie “ragazzi, qui si mette male”, da non riuscire più a distinguere se forse proprio ora potrebbe andare bene. E per seguire questa strana traiettoria utilizziamo parole prive di un senso logico reale. Diciamo che la mossa di Kiev “allontana la pace” (il ministro Crosetto), mentre, al di là dei proclami a fini interni, ora il Cremlino inizia a capire che andare avanti potrebbe costargli caro. Diciamo “no alle armi italiane per attaccare la Russia” (il ministro Tajani), un minuto prima di dire che vogliamo la Russia al tavolo della pace e non della resa, che invece era l’unico concetto di Putin. Diciamo che “è inaccettabile invadere uno Stato” (vicecapogruppo al Senato FdI, Speranzon), riferendoci incredibilmente non alla Russia ma all’Ucraina, che si sta rialzando dopo 30 mesi di bombardamenti e massacri. E per il bene della patria, non parliamo dell’opposizione, dove il sempre combattivo partito “della pace” (dei cimiteri) trova sempre più frequentemente sponda in Elly Schlein.

L’Italia chiusa in un angolo
D’altro canto, bisogna far digerire a Conte la relazione extraconiugale con Matteo Renzi… E si sa che i sondaggi sul sostegno italiano alla difesa dell’Ucraina sono piuttosto impietosi: per rispondere all’ormai celebre esortazione di Mario Draghi, con il caldo che fa, è meglio tenere i condizionatori accesi che spendere soldi per quelle terre slave e lontane. Poi però c’è la politica. Dopo il voto contrario alla von der Leyen, non è solo il governo ma l’intera Italia politica a chiudersi in un angolo, distante dai grandi paesi europei e dagli Stati Uniti. Di fronte all’evidenza di un atto militare che non è un attacco ma una forma di difesa, che non è un atto bellico ma un’azione indispensabile per ridurre l’impatto distruttivo e accorciare i tempi, uno dei paesi fondatori dell’Europa e della Nato si nasconde come un impiegato delle commedie all’italiana. Ma è importante chiarire che queste mosse da pacifisti non delineano una strategia, piuttosto la negano.

L’Italia non è mai stata neutrale
La neutralità è una posizione nobile e a volte saggia, e ci sono paesi che hanno costruito la loro prosperità su di essa. E non va trascurato il valore della prudenza e della politica delle “porte aperte”, specialmente per un paese che si trova al confine tra nord e sud, est e ovest. Ma il problema è che noi non siamo neutrali, non lo siamo mai stati. In nessun regime. Non lo eravamo nel 1914, divisi tra interventisti e neutralisti mentre il governo trattava con entrambi i fronti della guerra. Non lo eravamo un quarto di secolo dopo, quando Mussolini aspettava di conoscere il vincitore per decidere il da farsi, compiendo poi un errore fatale. Non lo siamo stati l’8 settembre né tantomeno dal 1945 a oggi, nonostante le incertezze ogni volta che le varie polveriere globali si infiammavano: il canale di Suez, i missili a Cuba, le guerre in Medio Oriente, la dissoluzione della Jugoslavia, i rapporti con la Russia e la Cina.

Un passo di lato, la tattica per sopravvivere
Sempre un passo indietro, sempre un passo di lato. È una regola della vita, un complesso della nostra mente che si riflette nella politica, grave per definizione ma non seria (di Ennio Flaiano). Forse deriva da una storia millenaria di divisioni e dominazioni straniere, che ci ha insegnato che la tattica è l’unica ancora di salvezza. E i sondaggi contano, eccome. Ma c’è anche un italiano speciale, Alessandro Manzoni, che scriveva: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Si riferiva ai milanesi che negavano l’esistenza della peste. Ma può essere esteso agli italiani che preferiscono negare l’esistenza delle dittature e delle loro guerre di annientamento.