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L’automobile è diventata il primo predatore dell’uomo, e non per colpa dell’auto. Il dato calcolato dall’Oms in tutto il mondo è questo: 1,19 milioni di vittime ogni anno. In Italia ogni tre ore più di una persona muore a causa di incidenti stradali. Nel 2022 le vittime infatti sono state 3.159, in più 223 mila feriti, di cui 16.875 con lesioni gravi. Non ci sono ancora i dati completi del 2023, ma le stime sono più o meno simili. Si perde la vita soprattutto sulle strade extraurbane (48,5%), e nei centri urbani (42,2%), e infine sulle autostrade (9,3%) dove, guarda caso vigilano sia gli autovelox che i Tutor. Solo quest’ultimo, dal 1999 a oggi, ha ridotto la mortalità del 75%. Le cause principali di tutti gli incidenti sono dovute a distrazione, mancato rispetto della precedenza o dei semafori e l’eccesso di velocità. I luoghi in cui avviene il maggior numero di incidenti per tutte le cause sono i centri urbani: il 73%. Il costo sociale lo pubblica Istat: 18 miliardi di euro.

La stretta su alcol e droga Tutti questi dati hanno spinto il ministro dei Trasporti Matteo Salvini verso la riforma del Codice della strada: il disegno di legge che è stato approvato alla Camera il 27 marzo, è ora in discussione al Senato. Vediamo cosa cambia. Guida in stato di ebbrezza: oltre alle sanzioni previste, in caso di ebbrezza grave l’automobilista dovrà obbligatoriamente installare l’alcolock per un periodo variabile da 2 a 3 anni. Si tratta di un sistema elettronico che non fa partire il motore se c’è una sola goccia d’alcol in corpo. Per la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti si modifica l’articolo 187. Oggi per contestare questo tipo di reato occorre dimostrare lo stato di alterazione psicofisica del conducente al momento del controllo. Se al Senato non ci saranno modifiche basterà la positività al test antidroga, che non si supera se hai assunto sostanze qualche giorno prima, perché nel sangue e nella saliva rimane traccia, e tanto basta. Sarà bene avvisare per tempo i turisti tedeschi, visto che la Germania ha recentemente liberalizzato l’uso delle droghe leggere, di non utilizzarle per un congruo periodo di tempo prima di venire in Italia.

Telefono e monopattini Il disegno di legge alza giustamente il tiro contro chi guida con il telefono in mano. Già oggi si rischia una multa da 165 a 660 euro più 5 punti dalla patente e la sospensione in caso di recidiva entro due anni. La riforma alza la sanzione e la sospensione può arrivare fino a 120 giorni: ai 90 che possono dare i prefetti si aggiungono altri 30 giorni di «mini sospensione» che possono comminare le forze dell’ordine se ti fermano in strada, hai meno di 20 punti sulla patente e commetti un incidente. Tuttavia coglierti in flagrante al cellulare è molto difficile perché non è prevista la possibilità di utilizzo di dispositivi elettronici come aveva richiesto l’Anci, ma solo rilevazioni visive dirette degli agenti con il fermo, o controlli post incidente. La «mini sospensione» vale anche per altri illeciti come divieto di sorpasso, circolazione contromano, mancata precedenza o rispetto dei semafori, uso delle cinture/seggiolini, sosta in luoghi pericolosi. Anche in questi casi l’efficacia della deterrenza è limitata perché si applica solo se l’agente di polizia ti coglie sul fatto, e si rivolge a una piccola platea: solo il 2% degli automobilisti ha meno di 20 punti sulla patente.

Tolleranza per eccesso di velocità e neopatentati Il problema in Italia è drammatico perché gli scontri stradali sono la prima causa di morte sotto i 29 anni. Oggi un neopatentato può guidare per il primo anno poco più di un’utilitaria con potenza limitata ai 55 kW/t. Ebbene, con la riforma potrà salire da subito, e per tre anni, su un’auto più potente da 75 kW/t. Inoltre, l’impianto della riforma è particolarmente morbido contro l’eccesso di velocità: se si commettono più violazioni in un’ora, nello stesso tratto di strada di competenza dello stesso ente si pagherà una sola multa aumentata di un terzo. Per esempio: se si andrà da Milano a Bologna a 169 km/h costanti si verrà «rilevati» più volte, ma sarà emesso un unico verbale da 230 euro, che si riduce a 161 euro pagando entro 5 giorni dal ricevimento della multa. La reiterazione non è più punita, ma è acquistabile a un prezzo più che abbordabile senza alcuna considerazione per il rischio imposto agli altri utenti. Una norma palesemente antitutor. Ma la volontà di ostacolare per quanto possibile l’utilizzo degli strumenti elettronici di controllo si evince da un altro fatto. La versione iniziale del Ddl conteneva il seguente testo: «I dispositivi per l’accertamento delle infrazioni possono essere anche solo approvati e non necessariamente omologati, nelle more dell’emanazione di un regolamento specifico». Questa disposizione è stata eliminata nel testo uscito dalla commissione Trasporti. Il 19 aprile i giudici della Cassazione hanno stabilito la non validità se l’apparecchio in questione era stato approvato ma non omologato. Nel 2020 il Mit aveva ritenuto le due cose perfettamente equiparabili sotto l’aspetto del corretto funzionamento, ma ora, in teoria, coloro che riceveranno multe per eccesso di velocità potrebbero sommergere i Comuni di ricorsi e rifiutarsi di pagare. Un problema evitabile se quel testo fosse approdato alla Camera.

Meno autonomia ai Comuni A breve entrerà in vigore il «decreto autovelox» del Mit che fisserà altri paletti. Intanto va chiarita l’accusa ai Comuni che li installano per fare cassa: tutti gli autovelox sono autorizzati da un decreto del prefetto e motivati dalla necessità di ridurre la velocità su tratti dove si sono verificati incidenti mortali. Nelle 14 aree metropolitane più grandi hanno prodotto un incasso di 73,3 milioni di euro, e come vengono impiegati lo spiega Luigi Altamura, comandante della Polizia locale di Verona e referente Anci: «Il 50% degli incassi va in manutenzione delle strade, nell’illuminazione pubblica, nel potenziamento dei controlli e a progetti di educazione stradale». Con il nuovo decreto gli autovelox potranno essere posizionati se viene documentata l’impossibilità per gli agenti, in quel tratto, di fermare sul posto i mezzi. In più, a seconda del tipo di strade, non si potranno installare dove il limite di velocità «sia inferiore di oltre 20 km/h rispetto a quello massimo generalizzato». Tradotto significa che nelle strade extraurbane dove il limite è a 110 non si potrà fare rilevamento automatico sotto i 90 km/h, e sulle provinciali dove il limite è a 90, non si potrà abbassare sotto i 70 km/h. Tutti gli autovelox che non rispondono a questi criteri dovranno essere rimossi o spenti. In città invece sono vietati dove i limiti sono inferiori a 50 km/h. Vuol dire che se il Comune vuol far rispettare il limite di legge di 30km/h davanti a scuole o ospedali, deve mandare la pattuglia sul posto.

Addio zone 30 Per istituire nuove zone 30 (come Bologna) i Comuni dovranno motivarle al Mit. È noto che gli effetti di tutti gli incidenti, provocati da tutte le diverse cause, sono aggravati dalla velocità, e per questo in ormai tutte le città europee si sta estendendo da anni il limite a 30 km/h. I report sono pubblici e documentano che le vittime della strada si sono dimezzate, il traffico non ha subito rallentamenti, e l’inquinamento acustico è sceso. Sono numerosi gli studi che mostrano le conseguenze dell’impatto veicolo – pedone o ciclista o centauro a partire da quelli dell’Oms. Un guidatore con perfette condizioni di mezzo e di asfalto, in caso di ostacolo improvviso se va a 30 km/h impiega 13 metri per arrestare l’auto. A 50 km/h sale a 28 metri. Un frontale con un pedone a 30 km/h a velocità costante la letalità è del 5%; a 50km/h è del 70%. La sostanza è che l’estensione di questi limiti in città è osteggiata in tutti i modi. I rilevamenti automatici pure, sia in città che fuori. Alla fine le regole dettate dal decreto sembrano suggerire che il non rispetto dei limiti sia da considerarsi un comportamento da comprendere più che da sanzionare Il tema preoccupa Giordano Biserni, presidente dell’Associazione amici della Polizia stradale: «Con meno autovelox sulle strade, chi dovrà fare rispettare il Codice se, rispetto alle piante organiche, mancano 3.200 agenti della Stradale, 12mila carabinieri e 12mila vigili?»

Meno ciclabili Fra i tanti aspetti modificati dalla riforma ci sono anche alcune norme sulla circolazione delle bici. Il Ddl rende non più applicabile la L.120/2020 che ha introdotto le corsie ciclabili e altri dispositivi a favore della bicicletta. Dovrà essere emanato un apposito regolamento che di fatto ne restringerà l’applicabilità. Nella pratica renderà più difficile per i Comuni costruire nuove corsie: si potranno fare solo nelle strade in cui è impossibile realizzare piste «protette», non potranno essere realizzate «contromano» come in molti Paesi europei. E molti degli interventi ad oggi realizzati, anche con i fondi PNRR, dovranno essere eliminati.