Adilma, ex narcos e madre di 9 figli: la storia dell’omicidio del compagno
Per convincere i cinque complici a partecipare al delitto, aveva promesso in regalo un appartamento ciascuno. Ma per ristrutturare le abitazioni serviva per forza ottenere quell’eredità. Così Adilma Pereira Carneiro, brasiliana di 49 anni, ha pianificato l’omicidio del compagno Fabio Ravasio, travolto e ucciso lo scorso 9 agosto nel Milanese da quella che sembrava essere un’auto pirata. A bordo della Opel Corsa di colore nero, però, vi erano in realtà il figlio e l’ex marito della donna, incaricati da lei stessa di mirare dritti al 52enne in bicicletta. È questa la ricostruzione che emerge dalla confessione fiume di uno dei complici che ricopriva il ruolo del “palo” e che, dopo due settimane di indagini, è crollato. Interrogato dai carabinieri nei giorni scorsi, ha ammesso che il delitto era stato ideato almeno tre mesi prima proprio da Adilma, la quale era poi riuscita a coinvolgere anche tutti gli altri. «Mi aveva detto personalmente che non sopportava più il marito e che quindi lo voleva uccidere», ha spiegato il complice. «In quell’occasione mi disse che puntava anche a impossessarsi dei suoi beni».
### La Crisi di Adilma Pereira Carneiro
La donna, conosciuta dagli amici come «Adi», era già stata arrestata perché trovata in possesso di 12 chili di cocaina. Nata in Brasile, ma residente in Italia da tempo, avrebbe avuto una vita densa di relazioni con uomini diversi e nove figli, di cui gli ultimi due avuti proprio con Ravasio. Nonostante i due abitassero ancora insieme, pare che il loro rapporto fosse giunto ormai alle battute finali, tanto Pereira aveva un amante, a sua volta membro della squadra criminale. Prima di rifarsi una vita, infatti, era necessario ottenere il patrimonio dell’ex. Stando al racconto del complice, sottoposto a fermo venerdì scorso insieme agli altri cinque, il gruppetto si sarebbe formato nelle settimane successive, attraverso alcuni «incontri operativi» e sopralluoghi sulla strada nella quale sarebbe avvenuta l’esecuzione.
### Il Piano Criminale di Adilma
Ravasio è stato investito in via Vela a Parabiago, mentre percorreva in sella alla sua Mountain Bike la solita strada per rientrare a casa dal lavoro. Un percorso che la donna conosceva molto bene e che ha deciso di sfruttare per inscenare il finto incidente. I due “pali” avevano il compito di lanciare un segnale quando lo avrebbero visto passare, così che le persone a bordo dell’auto potessero prepararsi a raggiungerlo. Grazie alle telecamere di videosorveglianza e alle testimonianze di chi ha assistito alla tragedia, è infatti emerso che la Opel si era appostata proprio in attesa del momento in cui sarebbe dovuta entrare in scena e fare la sua parte. Quando è scattato il via libera, l’auto ha invaso la corsia opposta, centrando in pieno l’uomo e finendo per schiantarsi contro il guardrail. Subito dopo, i due uomini a bordo si sono dati alla fuga senza fermarsi a prestare soccorso. Proprio quella sera, prima che la vittima lasciasse il suo ufficio di Magenta per tornare a casa, Pereira si era presentata lì da lui, forse per assicurarsi che partisse in bici al solito orario. Le telecamere l’hanno ripresa insieme al socio del compagno, mentre si salutavano prima delle ferie estive.
### Le Indagini e l’Arresto
A incastrare quelli che secondo l’accusa sono gli esecutori materiali del delitto, tra cui il figlio della donna Igor Benedito che si trovava alla guida, è stata in particolare un’intercettazione telefonica tra Pereira e l’altro uomo a bordo della macchina. «Tu avevi i guanti?» chiede lei. «Guidava Igor e i guanti li aveva lui». «Ma la porta del passeggero l’hai toccata?», domandava la 49enne probabilmente preoccupata. «Ma sai quante volte sono salito su quella macchina lì? Eh sì, per aprire la porta sì». A confermare i diversi ruoli stabiliti per mettere in atto il piano diabolico, anche la confessione dei due “pali” e in particolare del secondo che è stato sentito. «Aveva bisogno del nostro aiuto», ha spiegato agli investigatori. «Lei ci propose, in cambio della nostra partecipazione all’omicidio, di regalarci un appartamento per ciascuno in una cascina». L’impressione, però, era che i complici «mancassero di capacità organizzativa – ha detto –, mi pareva un’organizzazione approssimativa». Una serie di “errori”, infatti, hanno portato nel giro di pochi giorni a ricostruire la verità che si celava dietro al finto tragico incidente. A partire dalla macchina, la cui targa era stata camuffata dal gruppo, ma che è stata poi rinvenuta dai carabinieri in un box con ancora il parabrezza sfondato e i segni inequivocabili dell’investimento.